Gl’Italiani o sia Relazione degli usi costumi d’Italia di Giuseppe Baretti tradotta dall’inglese con note del traduttore

Gl’Italiani o sia Relazione degli usi costumi d’Italia di Giuseppe Baretti tradotta dall’inglese con note del traduttore

id: 5459
Autore: Baretti Giuseppe,
Prezzo: 70.00
Editore: Per Giovanni Pirotta,
Anno di pubblicazione: 1818
Luogo di pubblicazione: Milano,
Descrizione: In 8° (22,5×13,5 cm); XIV, 288 pp. Legatura coeva in mezza-pelle chiara con titolo impresso in oro al dorso. Piatti foderati con carta maculata coeva. L’opera, a se stente, uscì come tomo sesto delle Opere del Baretti. Esemplare in ottime condizioni di conservazione. Giuseppe Marco Antonio Baretti, noto comunemente come Giuseppe Baretti (Torino, 24 aprile 1719 – Londra, 5 maggio 1789), è stato un critico letterario, traduttore, poeta, scrittore, drammaturgo e linguista italiano. L’opera è una dotta ed interessante descrizione di usi e costumi di numerosi paesi italiani. Contiene un captolo dedicato al gioco del calcio. A sedici anni lavora come impiegato in un’azienda commerciale. La sua carriera letteraria comincia con la traduzione delle opere di Pierre Corneille. Poi viaggia a lungo, prima a Londra (ove è poeta dell’Opera Italiana e compone due intermezzi: il Don Chisciotte in Venezia e La Filippa trionfante) e dopo in Portogallo, Francia e Spagna. Di questo peregrinare scrive ampi e vivaci resoconti, in forma di lettere ai tre fratelli. Fra i primi lavori di Baretti è da citare The Italian Library (1757), un catalogo delle biografie e delle opere di diversi autori italiani. In quest’opera compare per la prima volta la citazione della frase “E pur si muove” attribuita a Galileo ma non registrata in alcun documento precedente. Tornato in Italia, avvia nel 1763 la pubblicazione, con lo pseudonimo “Aristarco Scannabue”, della rivista Frusta letteraria, destinata ad essere proibita dal governo veneziano dopo appena due anni, per i roventi attacchi a Padre Appiano Buonafede. Ritornato a Londra, vi rimase sino alla morte. Nella capitale inglese ottenne un impiego come segretario della Royal Academy of Arts, stringendo amicizia con personalità come Samuel Johnson, Sir Joshua Reynolds, Oliver Goldsmith, Edmund Burke e David Garrick. Fu anche frequentatore del salotto di Hester Thrale e il suo nome ricorre frequentemente nei diari di James Boswell. Nel 1769 Baretti fu processato per omicidio, avendo accidentalmente colpito a morte con uno stiletto un malvivente che lo aveva assalito per strada. Johnson, Reynolds e altre importanti personalità resero testimonianza in suo favore e il processo si concluse con l’assoluzione in formula piena. Morì a Londra il 5 maggio 1789. Spirito irriverente e ribelle, Baretti fa della sua Frusta letteraria un’efficace ed estrosa arma polemica contro la stucchevole poesia bucolica, l’erudizione accademica, il bigottismo religioso. Nonostante questa sua veemente vena polemica anticonformista, non riesce a entrare in sintonia con lo spirito dei nuovi tempi, che sono i tempi dell’Illuminismo. Resta lontano da personaggi quali Pietro Verri e Cesare Beccaria, e si lancia in feroci critiche contro Carlo Goldoni, cui contrappone Molière, Carlo Gozzi e Pietro Metastasio (il suo modello insuperabile di poeta raffinato, aristocratico e moralmente edificante). Baretti resta vincolato a una cultura classica e razionalista e a una lingua non contaminata dal rispecchiamento della realtà sociale. Non a caso riscopre e ripropone alla lettura la Vita di Benvenuto Cellini, di cui loda la scrittura viva e pittoresca. L’estraneità alle correnti più innovatrici della sua epoca non impedisce di riconoscere nel Baretti uno straordinario polemista, uno scrittore di vaglia, un grande narratore di viaggi e, soprattutto, un testimone straordinario dei suoi tempi. E sono i motivi per cui Piero Gobetti chiamerà Il Baretti la sua rivista di critica letteraria, fondata nel 1924. Tra le altre opere del Baretti si ricordano il Dictionary of English and Italian Languages, nel quale egli compie un robusto lavoro di aggiornamento e correzione di un vocabolario preesistente, e l’acuto Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire. In questo saggio, scritto in francese e poi tradotto, il critico difende Shakespeare dalle accuse scandalizzate di Voltaire e dei classicisti francesi, ed esalta in lui l'”irregolarità” e la forza drammat
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